IL BOSONE DI HIGGS E L’ORIGINE DELLA MASSA
«Quando si guarda a un vuoto, in una teoria quantistica dei campi, questo non è esattamente un nulla»
[Peter Higgs, in “Meet Peter Higgs, CERN, 2004]
Il 4 luglio del 2012, nell’affollatissimo Auditorium del CERN di Ginevra, veniva annunciata la scoperta di una particella a cui gli scienziati di tutto il mondo avevano dato la caccia per quasi cinquant’anni.
Sto parlando del bosone di Higgs, una delle scoperte scientifiche dal maggiore impatto mediatico degli ultimi decenni, tanto che la stampa lo soprannominò “la particella di Dio”.
Questo soprannome risale in realtà al 1993 e ad un saggio del fisico e premio Nobel Leon Max Lederman, intitolato “The God Particle” (“La particella-Dio”) per sottolineare l’importanza del bosone di Higgs. Il titolo originale proposto da Lederman era in realtà “The Goddamn Particle” (“La dannata particella”) ma l’editore non lo approvò.
Ma andiamo con ordine. Che cos’è il bosone di Higgs? E perché è tanto importante? Per capirlo dobbiamo fare qualche passo indietro e parlare prima di atomi, particelle elementari e Modello Standard.
Sin dall’antichità gli uomini si sono interrogati sulla composizione della materia. Circa venticinque secoli fa, il filosofo greco Democrito aveva introdotto il concetto di atomo (dal greco àtomos, “indivisibile”), inteso come particella di materia che non può essere ulteriormente divisa.
ggi sappiamo che gli atomi che costituiscono la materia sono formati da protoni, neutroni ed elettroni e che protoni e neutroni sono a loro volta composti da particelle più piccole chiamate quark.
Queste non sono tuttavia le uniche particelle note. Elettroni, protoni e neutroni sono tra le poche particelle stabili ma ne esistono molte altre la maggior parte delle quali sono instabili, ovvero decadono spontaneamente trasformandosi in altre particelle. Queste particelle, a loro volta, possono essere stabili o instabili.
Tutte queste particelle non possono essere viste ad occhio nudo e nemmeno con il più potente dei microscopi, tuttavia esistono dei rivelatori che permettono di “renderle visibili” sfruttando alcune loro proprietà, come ad esempio la carica elettrica. Quando una particella transita all’interno di un rivelatore, infatti, lascia una traccia, il cui studio ci permette identificarla, un po’ come quando identifichiamo un animale osservando le impronte che ha lasciato sulla neve.
Grazie a rivelatori sempre più sofisticati sono state scoperte moltissime particelle, alcune delle quali sono composte da altre particelle (come il protone, che è formato da tre quark) e altre sono elementari, ovvero non costituite da particelle più semplici (come l’elettrone). Siccome anche i protoni, i neutroni, e persino gli atomi, in passato sono stati considerati elementari, è meglio dire che una particella è elementare se i comportamenti che siamo in grado di osservare non mostrano la presenza di una struttura interna.
Nel corso degli anni vennero scoperte fin troppe particelle, portando i fisici che cercavano di mettervi ordine in uno stato di confusione: Willis Lamb arrivò a dire che chi avesse scoperto una nuova particella non avrebbe meritato il premio Nobel ma una multa da diecimila dollari.
Oggi, le particelle elementari che costituiscono la materia (i cosiddetti “mattoni” fondamentali), vengono classificate all’interno di due grandi famiglie:
1) Leptoni, dal greco “leptòs” (“leggero”) in riferimento alla massa del primo leptone scoperto, l’elettrone, rispetto a protone e neutrone; sono leptoni anche il muone, il tauone e i neutrini;
2) Quark, un nome scelto dal fisico Murray Gell-Mann, tratto dal romanzo “Finnegans Wake” di James Joyce; esistono sei varietà di quark, denominate “sapori”, e per ognuni di essi la corrispondente antiparticella, detta antiquark.
Le particelle interagiscono tra loro mediante quattro tipi di forze: l’interazione gravitazionale, l’interazione elettromagnetica, l’interazione nucleare forte e l’interazione nucleare debole. La trasmissione delle forze avviene tramite particolari particelle che prendono il nome di bosoni, dal nome del fisico indiano Satyendranath Bose, per via del fatto che il loro comportamento segue la cosiddetta statistica di Bose-Einstein.
Le particelle elementari di materia, ovvero leptoni e quark, interagiscono tra loro scambiandosi i mediatori delle interazioni: il fotone, o quanto di luce, per l’interazione elettromagnetica, i bosoni W e Z per l’interazione debole e i gluoni per l’interazione forte.
La principale differenza tra quark e leptoni è che i quark interagiscono tra loro con l’interazione elettromagnetica, debole e forte mentre i leptoni soltanto con l’interazione debole ed elettromagnetica. Inoltre, mentre i leptoni esistono “liberi”, i quark non si osservano individualmente ma sempre legati tra loro in coppie o in terne a formare i cosiddetti adroni, come il protone e il neutrone.
Dopo vari decenni è emersa una teoria che gli scienziati chiamano Modello Standard, termine coniato da Abraham Pais e Sam Treiman nel 1975, e che descrive le particelle elementari e le interazioni fondamentali (esclusa la gravità) in un quadro organico e matematicamente coerente. Il successo del Modello Standard è dovuto allo straordinario accordo tra teoria ed esperimenti, appurato fino alle energie più elevate e alle distanze più piccole mai esplorate dall’uomo.
Nel Modello Standard, le interazioni tra particelle elementari sono caratterizzate da un alto grado di simmetria, che nel linguaggio tecnico prende il nome di “simmetria di scala SU(3)⊗SU(2)⊗U(1)”. La presenza di tre gruppi di simmetria è strettamente legata al fatto che il Modello Standard descrive tre interazioni fondamentali: elettromagnetica, debole e forte.
Nonostante l’eccellente accordo tra teoria ed esperimento, il Modello Standard conteneva una contraddizione: la simmetria, infatti, verrebbe perfettamente conservata solo se tutte le particelle che interagiscono fossero prive di massa, affermazione chiaramente falsa per quanto riguarda i quark e i leptoni di cui anche noi siamo costituiti.
Per superare questo apparente paradosso è necessario chiamare in causa un fenomeno noto come “rottura spontanea della simmetria”, ovvero una rottura della simmetria che non distrugga le buone proprietà matematiche della teoria.
Il meccanismo che spiega l’origine della massa di tutte le particelle senza rompere irreparabilmente la simmetria di scala è stato individuato quasi simultaneamente nel 1964 tre gruppi indipendenti di fisici: l’inglese Peter Higgs, i belgi Robert Brout e François Englert e gli statunitensi Gerald Guralnik e Carl Richard Hagen con il britannico Tom Kibble. Tale meccanismo è noto come meccanismo di Higgs o anche, per non fare torto a nessuno, meccanismo di Englert-Brout-Higgs-Guralnik-Hagen-Kibble. Il lavoro di Higgs è stato tuttavia l’unico a prevedere l’esistenza di un nuovo bosone.
L’idea di fondo è che, per determinate trasformazioni, le equazioni che descrivono la fisica del Modello Standard continuano ad essere simmetriche, mentre lo stato di minima energia del sistema (il cosiddetto “stato di vuoto quantistico”) non lo è più.
La rottura spontanea della simmetria genera una particella, detta bosone di Higgs, la quale è in grado di conferire la massa a tutte le particelle elementari che sappiamo esserne dotate, conservando la simmetria a livello fondamentale del Modello Standard.
La massa non è quindi una proprietà intrinseca della materia, come siamo abituati a pensare, ma una proprietà dinamica, risultato dell’interazione di ciascuna particella elementare con un campo, detto campo di Higgs, che permea tutto lo spazio modificando il vuoto quantistico. Tanto più è intensa l’interazione di una particella con il campo di Higgs, tanto più grande sarà la sua massa. Le particelle come il fotone, che non interagiscono con esso, non hanno massa.
La scoperta dell’ultimo pezzo di quel grande puzzle che è il Modello Standard è stata di fondamentale importanza per conferire al modello stesso un elevato grado di completezza, coerenza matematica e compatibilità con i dati sperimentali.
La conoscenza delle caratteristiche del bosone di Higgs e di come questa particella interagisce con le altre risulta fondamentale anche per comprendere la storia e l’evoluzione dell’Universo, in particolare ciò che è accaduto un centomiliardesimo di secondo dopo il Big Bang.
Si ritiene infatti che nei primissimi istanti di vita dell’Universo, gli elettroni, i quark e le altre particelle fossero privi di massa e che l’abbiano acquisita grazie al meccanismo di Higgs non appena la temperatura dell’Universo, inizialmente altissima, scese al di sotto di un valore critico.
Adesso possiamo quindi comprendere i motivi per cui il bosone di Higgs è stato soprannominato “la particella di Dio” e le ragioni di una caccia durata quasi cinquant’anni.
I successi del Modello Standard, tra cui la previsione dell’esistenza dei gluoni, del quark top e dei bosoni W e Z (che sono valsi il premio Nobel a Carlo Rubbia), hanno convinto i fisici ad elaborare numerosi esperimenti volti a rivelare la presenza del bosone di Higgs.
Come per le altre particelle instabili, per “vedere” il bosone di Higgs è necessario identificare i prodotti del suo decadimento, il quale potrebbe avvenire con la produzione di due fotoni, di due bosoni Z o di altre coppie di particelle. La particella di Dio si è dimostrata tuttavia particolarmente elusivo.
I quattro esperimenti al LEP (Large Electron-Positron Collider), uno dei più grandi acceleratori del CERN di Ginevra, e i due esperimenti al Tevatron del Fermilab (nei pressi di Chicago) hanno operato per anni senza riuscire ad estrarre una traccia della più sfuggente delle particelle.
La svolta è avvenuta grazie all’acceleratore LHC (Large Hadron Collider, ovvero “grande collisore di adroni”), il più grande e potente acceleratore di particelle mai costruito, ospitato al CERN e attivo dal 10 settembre 2008.
Il 4 luglio del 2012 gli scienziati che lavoravano agli esperimenti ATLAS (A Toroidal Lhc ApparatuS) e CMS (Compact Muon Solenoid) dell’LHC annunciarono che entrambi avevano osservato una nuova particella compatibile con il bosone di Higgs predetto dal Modello Standard.
L’anno successivo il premio Nobel per la fisica fu assegnato a Peter Higgs e a François Englert “per la scoperta teorica del meccanismo che contribuisce alla comprensione dell’origine della massa delle particelle subatomiche, e che recentemente è stata confermata attraverso la scoperta della particella fondamentale prevista, da parte degli esperimenti ATLAS e CMS al Large Hadron Collider del CERN”. Robert Brout era deceduto nel 2011, senza sapere se il meccanismo teorizzato era davvero quello che spiega l’origine della massa.
Agli esperimenti hanno lavorato più di 6000 fisici, tecnici e ingegneri provenienti da decine di paesi differenti, per quella che è la più vasta collaborazione scientifica della storia. Alcuni dei ruoli cruciali erano ricoperti da scienziati italiani: tra questi Sergio Bertolucci (direttore di ricerca del CERN), Fabiola Gianotti (responsabile dell’esperimento ATLAS) e Guido Tonelli (portavoce dell’esperimento CMS).
Fabiola Gianotti, oggi direttrice generale del CERN, commentò la scoperta con queste parole: «Una simile impresa scientifica è anche uno strumento di pace, che avvicina e unisce i popoli: in ATLAS e CMS lavorano insieme, gomito a gomito, scienziati che provengono da più di 60 paesi del mondo, alcuni dei quali sono in conflitto tra loro. Si tratta di una grande lezione di vita per tutti, in particolare per i nostri giovani».
Immagine: Lo storico abbraccio tra Fabiola Gianotti e Peter Higgs, durante il seminario del 4 luglio 2012, in cui è stata annunciata la scoperta della “dannata” particella.
il bosone di Higgs e l'origine della massa - stefano fortini
Bibliografia:
Leon Max Lederman, Dick Teresi, The God Particle: If the Universe Is the Answer, What Is the Question?, Houghton Mifflin, 1993;
Roberto Petronzio, La particella che dà la massa, Asimmetrie, 2009;
Antonio Masiero, Il bosone di Higgs: la sua esistenza, la nostra esistenza, Il Nuovo Saggiatore, 2012;
Eleonora Cossi, Dr. Boson, I presume? Terminata la lunga ricerca dell’Higgs, Asimmetrie, 2013;
Paolo Ciafaloni, Il bosone di Higgs, Ithaca: Viaggio nella Scienza, 2013.
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